Collezione

Archivio Giorgio Scerbanenco

Giorgio Scerbanenco nasce a Kiev il 28 luglio 1911. Figlio di padre ucraino, professore di lingue classiche, e di madre italiana, trascorre la maggior parte dell’infanzia e della prima giovinezza a Roma. Nel 1927 si sposta con la madre a Milano dove, inizialmente, svolge diversi lavori, tra cui operaio alla Borletti e barelliere della Croce Rossa. Durante questo periodo studia da autodidatta soprattutto filosofia e matematica. Nel gennaio del 1931 sposa Teresa Bandini e, a partire da quel momento, abbandona tutte le altre attività per dedicarsi completamente alla scrittura.
La sua prima pubblicazione appare nel maggio del 1931 sul mensile letterario “La Rivista di Lecco”. Si tratta del racconto “Linea P” a firma di Giorgio Vlad Scerbanenko. Nel 1934, grazie all’interessamento di Eugenio Gara, entra alla Rizzoli e inizia a pubblicare racconti e rubriche su “Piccola” e “Novella”, due settimanali femminili, a firma di G.W. Scerbanenko. Lì conosce anche Cesare Zavattini, dal 1935 direttore responsabile di “Piccola”, che diventa il suo mentore. È a partire da questo momento che comincia regolarmente a firmarsi Giorgio Scerbanenco, salvo quando usa uno pseudonimo.
Nel 1937 si licenzia da Rizzoli e segue Zavattini che nel frattempo era passato a Mondadori, dove collabora con le riviste “Grazia” e “Novellissima”. Sempre con Mondadori pubblica una serie di romanzi tra cui tra cui i “gialli” che hanno come protagonista Arturo Jelling, archivista della polizia a Boston. Nel 1940 inizia la sua collaborazione con il “Corriere della Sera”, prima sul supplemento mensile “Lettura” e in seguito sul quotidiano, dove pubblica novelle e romanzi a puntate.
Nel settembre del 1943 si rifugia in Svizzera dove rimane sino alla metà maggio 1945. In questo periodo collabora con alcune testate locali assieme a Indro Montanelli e Piero Chiara e scrive romanzi e saggi che saranno in seguito pubblicati in Italia. Tornato a Milano, firma un contratto di esclusiva con Rizzoli, che gli affida la condirezione di “Novella” e la creazione della nuova rivista “Bella”. Su “Annabella”, con il nome di Adrian, inizia un’altra fortunatissima posta con le lettrici: un’esperienza che lo porta alla scrittura di romanzi rosa, di cui diventa tra i migliori rappresentanti dell’editoria italiana fino alla fine degli anni Cinquanta.
Nello stesso periodo sperimenta altre forme della narrativa, dalla spy-story alla fantascienza e al western, affinando una tendenza all’ibridazione dei generi. Ma è alla metà degli anni Sessanta che Scerbanenco cambia rotta: attingendo al repertorio di storie di cronaca nera, di cui aveva ampiamente fatto esperienza durante la sua attività giornalistica, sceglie il romanzo poliziesco ambientandolo in Italia, all’epoca una novità nel panorama letterario italiano. Pubblica il ciclo legato al personaggio di Duca Lamberti, medico radiato dall’albo per eutanasia e consulente della polizia, che riscuote un enorme successo di pubblico. Al primo romanzo, Venere privata (1966), ne seguono altri tre (Traditori di tutti, 1966; I ragazzi del massacro, 1968 e I milanesi ammazzano al sabato, 1969), che lo consacrano definitivamente come autore noir. Nel 1967 e nel 1968 vince per due volte di seguito il Grand Prix de la littérature policière di Parigi, e in quegli anni lavora alla trasposizione cinematografica dei suoi romanzi e alla stesura di soggetti originali per la televisione.
La morte per malattia lo coglie a Milano il 27 ottobre del 1969.

Il suo archivio, donato dal figlio Alberto al Centro Apice, fa luce sulla sua prima produzione letteraria. Le carte riflettono i primi lavori giovanili e le prime presenze di Scerbanenco sulle pagine letterarie di giornali: racconti, romanzi a puntate, novelle, ma anche soggetti teatrali apparsi, spesso con l’uso di pseudonimi, su testate come “Piccola”, “Novella”, “Grazia”, “Corriere della Sera” o apparsi in volumi editi da Mondadori come i noti La bambola cieca, Il cane che parla, Si vive bene in due.
Accanto al pubblicato, in questa parte dell’archivio che arriva fino alla fine degli anni Cinquanta, si trovano anche abbozzi di romanzi, incipit di novelle e racconti, soggetti cinematografici, saggi e progetti che amplificano la figura di uno scrittore da sempre identificato principalmente come “giallista”.

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