Sulle tracce dei lettori del passato. Uno sguardo alle fonti
“La lettura ha una storia”. Sono passati quasi quarant’anni dalla celebre affermazione di Robert Darnton, contenuta nel saggio First steps towards a history of reading (trad. it. in Il bacio di Lamourette, Adelphi, 1994). Un’affermazione che suggeriva di fare della lettura, e della sua storicità, un nuovo oggetto di ricerca, pur nella consapevolezza delle molteplici sfide con cui era necessario misurarsi indagando un’attività caratterizzata da componenti cognitive ed emotive, che difficilmente lasciano traccia. Il saggio di Darnton, raccogliendo le sollecitazioni di ricerche già all’epoca in corso sulla lettura come fenomeno sociale, passando in rassegna metodi, fonti e sfide delle diverse strategie di ricerca attuabili, inaugurò un nuovo filone di studi, oggi giunto a piena maturità grazie a una riflessione interdisciplinare e a uno straordinario lavoro di scavo documentario, svolto ora in maniera individuale e analogica, ora sfruttando le potenzialità di network di ricerca internazionali che fanno uso di strumenti digitali.
Quali sono le tracce dei lettori del passato, e delle loro esperienze di appropriazione del testo scritto? Non esiste una fonte d’elezione per gli storici della lettura, solo la consapevolezza di dover avere a che fare con un ampio ventaglio di materiali, anche inaspettati, ognuno con le proprie specificità, e da cui talora è possibile trarre solo pochi dati, che si rivelano però preziosi quando intrecciati tra loro. Talvolta si tratta di documenti già noti e frequentati dagli storici, come gli inventari di biblioteche private, fonti che sono state essenziali per la stagione novecentesca di studi su “cultura e società”. A questi si sono aggiunti registri di biblioteche e gabinetti di lettura, che possono darci informazioni invero limitate: attestare chi ha letto cosa – seppure in maniera più fedele rispetto agli inventari di biblioteche private, perché un libro posseduto non è necessariamente un libro letto.
Si tratta inoltre di documenti relativi alle letture di individui per lo più appartenenti ai ceti privilegiati (diversi studi hanno tentato di ricostruire, per esempio, le letture di un autore, o di uno scienziato), ma come rintracciare le letture della gente comune? Esistono anche altri documenti noti agli storici, come i verbali dei processi inquisitoriali, che contengono dichiarazioni relative alle letture di individui appartenenti a ceti medio-bassi, e alle loro riflessioni su di esse; il caso più evocativo si legge nel celebre Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg, ma altre dichiarazioni sono state consegnate ad altre carte processuali, e talora non sono ancora riemerse. Note agli storici della società sono anche le inchieste svolte, a partire dal XVIII secolo, sulle popolazioni rurali, si pensi a quella intrapresa in Francia dell’Abbé Grégoire a fine Settecento per censire gli usi linguistici delle popolazioni rurali, che contiene anche indicazioni relative alle loro letture. Questa tipologia di materiale rende necessario un primo caveat: si tratta di documenti che contengono le voci di persone appartenenti agli strati sociali più bassi, ma inevitabilmente mediate dalla penna di funzionari provenienti da altre categorie sociali, con una propria visione del mondo spesso carica di pregiudizi nei confronti di coloro di cui trascrivevano la voce.
Ci si potrebbe dunque scoraggiare di fronte alla difficoltà di ricostruire ricordi e testimonianze di lettura di persone appartenenti alle categorie sociali meno elevate. Esistono però autobiografie di individui provenienti da milieu svantaggiati, da cui si sono poi emancipati in età adulta. Si pensi alle memorie dei cosiddetti social reformers britannici, un vero e proprio filone letterario nel secondo Ottocento, spesso ricco di informazioni sulle letture di formazione degli autori. Anche in questo caso, però, gli storici devono aver ben chiari fenomeni tipici dei cosiddetti “egodocumenti”: le scelte di autorappresentazione possono condurre a resoconti non sempre fedeli alla realtà dei fatti. Tra le fonti del sé naturalmente va citata la corrispondenza: tra i carteggi di studiosi, nobildonne, insegnanti si trovano innumerevoli informazioni circa le letture di chi scriveva, dei membri della famiglia, dei propri allievi, che emergono ed emergeranno nel corso di studi sulle personalità coinvolte.
L’insegnamento e la scuola (programmi didattici, diari e dichiarazioni di insegnanti) consentono talora uno sguardo privilegiato sulle letture proposte o imposte ai bambini e ai ragazzi; l’infanzia e la gioventù, per quanto si tratti di stagioni della vita in cui si dedica molto tempo alla lettura, restano poco investigate, nonostante in tempi recenti sia stato avviato uno scavo documentario su materiali d’archivio prodotti dai bambini.
Tornando al mondo degli adulti, alcuni attori della filiera del libro sono anch’essi lettori, che per giunta hanno lasciato molte tracce: i lettori editoriali e i traduttori, i cui documenti sono conservati negli archivi editoriali, talora accanto a testimonianze di lettori comuni che hanno tentato di entrare in contatto con i propri scrittori preferiti – ora mediante l’editore, per esempio le lettrici dei romanzi di Delly pubblicati da Salani nel Novecento – ora corrispondendo con gli autori di cui è conservato il carteggio.
Se le tracce dei lettori del passato sono difficili da recuperare, gli storici del futuro avranno a disposizione molto più materiale, spesso più eloquente, lasciato per esempio da chi ha scritto recensioni e pareri da condividere mediante i diversi social-network specializzati (Anobii, Goodreads, Babélio…), comparsi a partire dagli anni 2000. Esistono già progetti di ricerca che ne tengono conto, come READ-IT (Reading Europe Advanced Data Investigation Tool). Senza dubbio gli strumenti digitali e l’uso di strategie di intelligenza artificiale, che consentano di rintracciare le informazioni relative alla lettura nei documenti presenti nel web (digitalizzati o digitali, nel caso di testimonianze recenti), possono fornire strumenti importanti alla ricerca sulla storia della lettura, consentendo di estrarre informazioni altrimenti sparse nei documenti e negli archivi più disparati. Tenendo sempre presente però che quanto è conservato negli archivi e non viene digitalizzato, per scelta, o per necessità pratiche, deve essere tutelato dal rischio dell’oblio, sempre più plausibile nel momento in cui le scelte di finanziatori e organismi di ricerca privilegiano i metodi digitali.
Elisa Marazzi
Università degli Studi di Milano