26 aprile 2023

Teatri di memoria dall’antico a oggi

Robert Fludd, “Ars memoriae”, 1619: il palazzo della musica

Parlare di ‘teatri di memoria’ significa parlare di una componente della tradizione dell’arte della memoria, che nasce nel mondo classico e si sviluppa poi in Europa nel Medioevo e nel Rinascimento, svolgendo una pluralità di funzioni. È ormai, per molti aspetti, un fossile culturale in un mondo che, dalla diffusione della scrittura in poi, ha sempre meno bisogno di coltivare la memoria individuale; nello stesso tempo la riscoperta dell’arte della memoria, a partire dagli anni ’60 del Novecento, ha sottolineato anche gli aspetti di modernità, come la costruzione di spazi mentali, l’uso del potere delle immagini, il gioco tra codice linguistico e codice visivo, tra immaginazione e realtà.

Nel Rinascimento, inoltre, l’arte della memoria si intreccia col tentativo di costruire una enciclopedia del sapere che sia disponibile per gli usi più diversi, aspetto che ha suscitato molto interesse nell’era di Internet e di motori di ricerca capaci di rispondere alle domande degli utenti.

Ci si fermerà su di un caso emblematico, e cioè sul teatro della memoria di Giulio Camillo, il cui progetto condensa in sé i sogni di un’intera età. Poeta, maestro di retorica, interessato alla cabala e all’alchimia, Camillo è amico di Bembo e lodato dall’Ariosto, ha stretti legami con artisti come Tiziano, Serlio, Lorenzo Lotto. Insegue per tutta la vita il sogno faustiano di un teatro della memoria capace di contenere in sé un sapere enciclopedico e insieme di rivelare i segreti della bellezza delle grandi opere d’arte, così da poterli riprodurre, anche attraverso l’uso di vere e proprie macchine logico-retoriche.

Nello stesso tempo il suo teatro vuole essere una guida alla ‘deificazione’, a una trasformazione interiore che permette alla mente individuale di impadronirsi di poteri quasi divini. Siamo così di fronte a una versione rinascimentale di quel nesso tra arte della memoria e contemplazione che aveva radici nei secoli precedenti.

Tra le numerose esperienze novecentesche che, in maniera più o meno consapevole riprendono e reinterpretano la tradizione dell’arte della memoria, ci si fermerà su due casi. Il primo è il palazzo enciclopedico di Marino Auriti (1891-1980) un emigrato italiano negli Stati Uniti, che sogna di costruirlo a Washington Mall perché diventi uno strumento di crescita democratica. Il suo progetto ha ispirato nel 2013 la Biennale di Venezia.

Il secondo caso è quello di Achilles Rizzoli (1896-1981), nato in California da una famiglia emigrata dalla Svizzera italiana, autore di centinaia di spettacolari progetti architettonici che intendono riprodurre l’anima delle persone, a catturarla al di là della morte. Rivivono qui, in modo straniato, alcune componenti dell’arte della memoria, come l’idea di una architettura capace di riprodurre l’interiorità, o le metafore prese alla lettera e visualizzate.

 

Lina Bolzoni
Scuola Normale Superiore