07 luglio 2024

Leggere in Europa. Testi, forme, pratiche (secoli XVIII-XXI)

“Leggere in Europa”, 17 settembre, ore 16,30, Sala Napoleonica di via Sant’Antonio 10, Milano

Nel pomeriggio del 17 settembre 2024 il Centro Apice organizza la presentazione del volume Leggere in Europa. Testi, forme, pratiche (secoli XVIII-XXI) a cura di Lodovica Braida e Brigitte Ouvry-Vial (Carocci editore, 2023), con Lina Bolzoni, Vincenzo Ferrone, Mauro Moretti. La pubblicazione rappresenta l’esito più recente di un lungo lavoro di ricerca e collaborazione internazionale che è stato avviato nel 2013, a Le Mans, in occasione del Convegno Textes, formes, lectures en Europe (18e-21e siècles), organizzato da Lodovica Braida e Brigitte Ouvry-Vial. Tale lavoro ha conosciuto un ulteriore sviluppo all’interno di un programma finanziato dall’Agence Nationale de Recherche e diretto da Ouvry-Vial (Reading Europe Contemporary Issues in Comparative and Historical Perspectives, 2014-2017) i cui risultati, in parte, sono confluiti, nel 2020, nella pubblicazione, Lire en Europe: textes, formes, lectures (XVIIIe-XXIe siècles), curata da Lodovica Braida e Brigitte Ouvry-Vial, per le Presses Universitaires de Rennes. Il volume che verrà presentato il 17 settembre presso l’Università degli Studi di Milano è la traduzione di questa pubblicazione francese, rivista però alla luce di studi recenti e di ricerche appena concluse, come quella finanziata da un secondo progetto europeo, sempre diretto da Ouvry-Vial, (Reading Europe Advanced Data Investigation Tool– read.it 2018-2021), a cui hanno partecipato molti degli autori di questo volume.

Il carattere fortemente interdisciplinare dei contributi – dialogano tra loro storici del libro, studiosi di letteratura, di sociologia e di digital humanities – offre una riflessione ampia e diversificata sul tema della lettura, in termini di metodi, strumenti e obiettivi; al tempo stesso, la prolungata collaborazione tra i protagonisti di questa ricerca, avviata da tempo, garantisce una chiara comunione di intenti e orienta coerentemente l’intero volume. La prospettiva è quella di mantenere in stretta correlazione la materialità con cui viene trascritto e trasmesso un testo e la storicità delle sue lettrici e dei suoi lettori, coloro che contribuiscono a dare senso e vita a quel testo, proprio nel momento in cui ne sono intimamente trasformati, in modo singolare e, al contempo, comunitario. Un orientamento che valorizza la complessità dei fattori in gioco nell’atto di lettura e si colloca in una zona di frontiera – tra spazi individuali e collettivi, parole scritte e oralità, ambienti conservativi e luoghi di disseminazione culturale – una zona di scambi e contaminazioni che occorre attraversare ampiamente, in termini cronologici, multidisciplinari ed ermeneutici. Il Centro APICE propone da tempo una riflessione critica in linea con questo orientamento, basti qui ricordare, in tema con il volume in questione, il Convegno annuale del 2016, Reading in Europe (18th-21th), quello del 2019, Digital Humanities. Verso un nuovo ordine del sapere?, e quello più recente del 2023, Letture cruciali. Libri che cambiano la vita.

 

Il primo capitolo – 20 bellissime pagine di carattere introduttivo affidate a Roger Chartier – offre il quadro concettuale della ricerca sulla lettura cui fa costante riferimento l’intero volume. In dialogo critico con gli studi  più significativi sull’argomento, Chartier conclude la sua riflessione auspicando, oggi, una dinamica interpretativa in grado di oscillare, costantemente, tra ciò che lo studioso definisce ‘vincolo’  –  i supporti materiali, le strategie di scrittura e di pubblicazione, le leggi di mercato, i canoni letterari, gli orizzonti  d’attesa comunitari, ecc. – e la libertà del lettore, la non convenzionalità del suo ruolo, la sua creatività, decisiva nella costruzione di un senso imprevisto, innovativo e potenzialmente condivisibile. Seguono, riuniti in tre parti, altri sedici saggi che, alla luce della riflessione introduttiva di Chartier, offrono un’accurata esplorazione dell’atto di lettura, condotta tra il XVIII e il XXI secolo, essenzialmente nell’area romanza (Francia, Italia, Spagna) e angloamericana, con una duplice apertura al mondo slavo (Cecoslovacchia e Russia).

La prima parte del volume, composta da 4 contributi, è consacrata alle grandi trasformazioni nella storia della lettura, dal Settecento ai giorni nostri, in un arco di tempo, quindi, in cui la standardizzazione della stampa, lo sviluppo dell’industria culturale, l’alfabetizzazione di massa, il progresso tecnologico, hanno rivoluzionato profondamente, e in modo relativamente rapido, le pratiche di lettura. Ci soffermiamo almeno sul primo saggio di questa sezione, un contributo dedicato al passaggio dalla lettura comunitaria e orale alla lettura individuale e silenziosa, un fenomeno che, nell’Europa occidentale, si completa durante il XVIII secolo: scompare la voce, la presenza corporea, il contesto vivo della lettura, restano solo le parole scritte, le uniche  a dare informazioni al lettore, a risvegliare la sua attenzione, a garantirgli il piacere, se non il senso, la direzione  di una storia che prevede una sua compiutezza, un concreto punto finale. Secondo l’autrice del saggio, Rosamaria Loretelli, la lettura silenziosa produce una rivoluzione cognitiva che promuove l’affermazione del romanzo moderno, contribuendo a un radicale cambiamento del contesto narrativo e allo sviluppo di forme finzionali in grado di sostituire, nel novel, il gesto, l’espressione, la performance fisica della lettura orale. In questo caso, le strategie di scrittura che silenziosamente coinvolgono il lettore/la lettrice, ne muovono la curiosità ma anche le emozioni e i sentimenti, costituiscono un ‘vincolo’ forte, nella relazione con il testo, e condizionano in modo intimo e profondo il lettore solitario, lo inducono, se non all’immedesimazione, all’empatia, per utilizzare un termine caro al dibattito contemporaneo sulla lettura in cui l’analisi narratologica dialoga in modo sistematico con gli studi di neuroscienza e di psicologia cognitiva.

La seconda parte del volume raccoglie sette contributi che documentano, da prospettive differenti, la funzione decisiva degli editori nel ‘vincolare’ la lettura, ovvero nell’adattare il libro via via a un pubblico sempre più ampio e diversificato di cui occorre cogliere, e al tempo stesso orientare, le molteplici esigenze di lettura. Si tratta di rispondere in modo efficace a istanze spesso contrastanti, attraversate anche da quello spirito arbitrario e imprevedibile che Roger Chartier evoca fin dall’inizio del volume. L’editoria britannica del Settecento, per esempio, attenta alla crescente sensibilità contemporanea per il mondo infantile, promuove una letteratura rivolta espressamente ai bambini. Si apre un nuovo mercato librario che asseconda le istanze educative dei genitori ma che tenta di rispondere al contempo all’interesse effettivo dei piccoli lettori – di questo tratta il saggio di Matthew O. Grenby che offre una notevole varietà di fonti –, bambini distratti, spesso confusi, indifferenti all’esemplarità morale, sedotti dalla fisicità del libro più che dal suo stesso contenuto. In un altro saggio – ne è autore Damiano Rebecchini – sono i contadini russi della seconda metà dell’Ottocento a incrementare il potenziale pubblico dei lettori; a loro si rivolgono nuove strategie editoriali in grado di avvicinare i ‘classici’ al popolo, come nel caso dell’opera di Gogol’ che, attentamente selezionata e manipolata, viene diffusa anonima, a basso prezzo, nelle campagne ucraine. Non si tratta solo di attrarre con copertine sgargianti, tagli e titoli accattivanti: il vincolo, in questo caso, si traduce in vere e proprie forme di riscrittura che, per aderire efficacemente al profilo incolto dei nuovi lettori, sacrificano la complessità dell’opera letteraria, attenuano lo stile, variano l’intreccio, riducono l’evoluzione psicologica dei personaggi. Paradossalmente, l’avvicinamento del ‘classico’ determina un suo distanziamento, da un certo punto di vista persino dissacrante. Tuttavia – torna l’oscillazione – il pubblico di contadini russi, cui dà viva voce la ricerca di Rebecchini, mostra di sapersi appropriare creativamente del testo riscritto, e di saper ‘riattivare’, per usare un altro termine caro al dibattito contemporaneo, parte della sua originaria bellezza. La democratizzazione della stampa genera nuove pratiche culturali che ispirano timori e speranze, come dimostra il bel contributo di Nathalie Richard dedicato al controllo della lettura, un ‘vincolo’ esercitato invero da istituzioni apposite, che prende una precisa forma editoriale – l’attività recensoria di condanna – promossa con rinnovato vigore dalla cultura cattolica francese di metà Ottocento. Altri saggi, – i contributi di Rachel Sànchez Garcìa, Christine Rivalan Luégo, Hervé Serry e, nella sezione successiva, di Roar Lishaugen – analizzano opportunamente l’affermazione e l’evoluzione di nuove collane, che sono di fatto lo strumento privilegiato di un’offerta mirata e competitiva rivolta innanzitutto a nuovi lettori, ‘freschi’ consumatori di cultura ( si veda il saggio di Martin Lyons). Diverso il punto di vista di Alessia Castagnino, che concentra la sua riflessione su un’altra forma di investimento editoriale importante – qui esaminato nella seconda metà del Settecento – la traduzione, ovvero l’offerta in italiano di una vasta e articolata produzione straniera, altrimenti inaccessibile a un pubblico sempre più ampio, non erudito, ma sensibile alla dimensione europea della cultura. Il vincolo, in questo caso, prende forma in un ricco paratesto – note, prefazioni, appendici, avvisi ai lettori  – che adatta culturalmente il testo di partenza e ne orienta, in più direzioni, la leggibilità; non solo, il vincolo, (se così vogliamo considerare anche la traduzione), aderisce al testo, ne converte forme e contenuti attraverso un lavoro capillare – la scelta lessicale, sintattica, il ritmo, la disposizione, ecc.– e mai innocente,  di cui il traduttore è consapevole protagonista, insieme all’editore e ai suoi committenti. L’ampliarsi dell’offerta di traduzioni sul mercato librario e il dibattito teorico che se ne sviluppa in parallelo, rinnovano profondamente tanto il campo linguistico e letterario quanto, più in generale, quello politico e sociale della cultura d’arrivo, segnatamente quella italiana settecentesca; un rinnovamento che il vincolo promuove in alcune direzioni, ma che sconfina ripetutamente – il saggio di Castagnino allude rapidamente a tale ‘pericolo’ – laddove la complessa mediazione traduttiva può generare, consapevolmente o no, interpretazioni ‘altre’, non sempre prevedibili.

La terza parte del volume analizza la pluralità delle forme e dei supporti materiali che trasmettono i testi e condizionano, in modo via via innovativo, la loro interpretazione: un grande progetto di ‘libri parlanti’, nato nel Regno Unito dopo la prima guerra mondiale, segnatamente rivolto ai soldati e ai civili che avevano perso la vista, (Matthew Rubery); l’uso sistematico di illustrazioni sempre più tecnologiche che avvicinano un pubblico meno istruito a opere  già pubblicate da tempo (Jean-François Botrel); la trasformazione dell’almanacco – genere editoriale di grande successo tra il XVIII e il XIX secolo – in agende con appositi spazi bianchi pensati per le annotazioni dei lettori (Lodovica Braida). Queste tipologie testuali e materiali associano la lettura all’ascolto o alla scrittura stimolando una riflessione che eviti distinzioni rigide fra competenze e discipline differenti, distinzioni oggi più che mai obsolete: nell’era di Internet lo spazio della scrittura, della lettura e della critica coincidono ampiamente, in modo orizzontale, potremmo dire, antigerarchico, eterogeneo, e spesso volutamente contraddittorio (lo sottolinea Gerhard Laver nel suo saggio sull’era digitale e la fine dell’editoria letteraria). Merito di questo volume, però, è ragionare su un lungo periodo, e, già a partire dal Settecento, riconoscere nella continuità i momenti di trasformazione dell’atto di lettura, nel suo significato più esteso e complesso: l’attenzione oscilla tra la singolarità dei lettori e le pratiche comunitarie simili nei diversi contesti europei, tra i cambiamenti epocali che caratterizzano alcune precisi frangenti storici – senza dubbio quello di cui siamo protagonisti oggi con il WEB – e la durata,  che indica convergenze, costanti, abitudini radicate e resistenze, un oscillamento che ci incoraggia – per riprendere le parole di Jean-Yves Mollier nel suo contributo sulla cultura di massa della Belle Époque – a fare ‘buon uso’ delle cosiddette rivoluzioni culturali.

Il volume si chiude con il saggio di Brigitte Ouvry-Vial dedicato alla rappresentazione materiale del libro nella letteratura europea, dalla fine del XIX secolo alla contemporaneità. Una ricca silloge di esempi consente di illustrare debitamente le molteplici funzioni di questa sorta di myse en abime del libro, che suggerisce, spesso contemporaneamente, la biblioteca dell’autore – verosimile o immaginaria che sia –, il suo modello di lettura se non il motore della sua stessa scrittura, il dato di partenza autobiografico e/o estetico, comunque di riferimento: all’origine, lo ricorda la citazione di Barthes in esergo al saggio, ‘all’orizzonte’ di ogni scrittore c’è il libro, e occorre ‘vederlo’ nella sua fisicità. Forma fantasmatica dell’opera stessa che lo rappresenta, forma desiderata dall’autore che la induce nel testo, la presenza del ‘corpo libresco’ può essere un amuleto fittizio che getta polvere negli occhi del lettore, o un talismano prezioso, un complice concreto che guida la lettura, un vincolo, ancora una volta, che si impone ingombrante tra le righe.

 

 

Alessandra Preda
Università degli Studi di Milano

 

 

Leggere in Europa. Testi, forme, pratiche (secoli XVIII-XXI) a cura di Lodovica Braida e Brigitte Ouvry-Vial (Carocci editore, 2023)