15 giugno 2022

Il lavoro delle donne nell’editoria, una storia ancora da studiare

La giuria del premio “L’Inedito”, composta da (da sin.): Angela Bianchini, Mimì Piovene, Carla Macchia, Maria Bellonci (al microfono), Serena Foglia, Natalia Ginzburg, Mafalda Todisco e Silvana Mauri – Archivio Silvana Mauri

Le professioni del libro, al pari di quella giornalistica, sono state per le donne colte opportunità per esercitare i propri talenti e lasciare tracce considerevoli nella storia culturale del Novecento. Così la questione della presenza femminile nel mondo dell’editoria e della circolazione dei saperi attraverso i libri apre una serie di possibili percorsi, che, in chiave interdisciplinare, intersecano la storia dell’editoria tout court, la storia della cultura, quella letteraria, la storia delle donne e quella delle professioni. Lo studio delle professioniste del libro si configura per questo come un terreno d’indagine particolarmente fecondo anche sul piano metodologico, toccando questioni di notevole ampiezza che, almeno per quanto riguarda la storia dell’editoria – a differenza che per la storia della letteratura –, si confrontano ancora con l’assenza di studi sistematici e fondativi.

Ecco dunque delinearsi diverse piste di ricerca e ipotesi di lavoro. Varrebbe la pena, per esempio, riflettere sulla presenza delle autrici – italiane e straniere, classiche e contemporanee – nei cataloghi editoriali, non solo e non tanto in termini quantitativi, ma anche prendendo in considerazione il modo in cui sono presentate, l’inclusione in una collana piuttosto che in un’altra, il conferimento o meno di prestigio letterario. Gli studi sul lavoro delle donne nell’editoria, inoltre, molto si gioverebbero, oltre che di una mappatura di insieme, di un approccio prosopografico, che li traghetti al di là delle pur preziose ricostruzioni di taglio biografico. Si tratta di ragionare – anche per ricavarne tipicità ed eccezioni, o per mettere meglio a fuoco le dinamiche evolutive – sull’insieme dei profili, delle provenienze geografiche, dei milieu sociali, dei retaggi famigliari, dei percorsi di studi e delle traiettorie professionali: in forza di quali agganci, contatti, reti le donne si avvicinano al lavoro editoriale, acquisiscono spazi, accumulano esperienza? quanto contano i trascorsi formativi e quanto i rapporti famigliari e di coppia? quanto i viaggi e le frequentazioni internazionali? quanto l’impegno politico? quanto l’appartenenza a famiglie ebraiche, in cui, come è noto, molto valore è attribuito all’istruzione delle donne?

Direttrice interessante potrebbe rivelarsi anche l’analisi complessiva – aldilà dell’attenzione per specifiche personalità – delle modalità, dei linguaggi, dei tagli con i quali le donne che si sono applicate ai mestieri del libro e della produzione culturale a stampa, dalle traduttrici alle editrici, dalle giornaliste alle scrittrici, dalle grafiche alle figure impiegate nella macchina editoriale, hanno scelto di raccontare la propria vita professionale e privata, tra scritti autobiografici e carteggi, scritture pubbliche e scritture private: potrebbero forse affiorare elementi di distanza o affinità rispetto alle ‘narrazioni’ maschili, oltre che, in chiave comparativa, differenze o analogie con altri mondi intellettuali; e potrebbero venire alla luce elementi di continuità e di rottura, linee di evoluzione, vissuti legati ai diversi contesti storici, alle diverse circostanze, alle diverse parabole umane.

Un altro nodo riguarda l’originalità dell’apporto del lavoro femminile nell’editoria, una questione che implicherebbe l’applicazione a questo ambito, come per altri, della prospettiva dell’endengerig; oppure, se considerata insoddisfacente la categoria ‘arte al femminile’ o ‘professionismo al femminile’, si potrebbe pur sempre ragionare sul valore aggiunto che le pratiche di scrittura e di lavoro sui e intorno ai testi scritti da parte delle donne, irregolari ed eccentriche per molti versi rispetto a quelle dei colleghi maschi o comunque dissimili, può aver portato nel campo della produzione dei libri: a parte il caso eclatante dell’editoria femminista o quello non meno significativo dell’editoria per l’infanzia e l’adolescenza, pensiamo alla valorizzazione delle opere delle donne da parte di donne editrici o consulenti editoriali, non sempre in forza di un programma determinato, quanto spesso per via di sensibilità e vissuti comuni. Soprattutto, più che far emergere e inanellare tante vicende, occorre farle ‘parlare’, per enucleare le strade e i modi in cui le donne hanno trovato spazio e voce nel mondo dei libri.

Comunque sia, l’obiettivo non è quello di fare una ‘storia di genere’ dell’editoria: al contrario, è di fare emergere i profili delle donne in editoria per restituirle alla complessiva storia della cultura e dell’imprenditoria culturale, e di fare dell’editoria una storia di uomini e di donne, gli uni e gli altri pienamente partecipi e attori della scena intellettuale dell’età contemporanea.

 

Irene Piazzoni
Università degli Studi di Milano