09 marzo 2021

Darko Suvin, cittadino del mondo

Quatre pas dans l’étrange,  J. H. Rosny ainé, Rudyard Kipling, Jules Verne, Karel Capek; Parigi, Hachette, 1961 – Uno degli oltre 4000 volumi conservati nel fondo Darko Suvin

Per chi, come me, era passato, nel giro di pochi anni, dalla passione del fan alla convinzione che la fantascienza fosse un genere ricco di implicazioni speculative e fortemente legato a una tradizione letteraria, la ‘scoperta’ che nel 1974 era nata negli Stati Uniti una rivista accademica intitolata Science-Fiction Studies, diretta da R.D. Mullen e Darko Suvin, non poteva che costituire uno stimolo potente a proseguire la mia attività critica in quella direzione. La transizione da fan a scholar si era già compiuta grazie all’apertura mentale del mio indimenticabile maestro Agostino Lombardo, il quale, pur dedicando le sue splendide lezioni, tenute nella sede di via Festa del Perdono della Statale di Milano, a Shakespeare e a T. S. Eliot, a Henry James e al grande romanzo statunitense, non aveva esitato ad affidarmi una tesi di laurea sulla fantascienza nella letteratura americana, che sarebbe poi diventata il fondamento del mio Il senso del futuro, pubblicato dalle Edizioni di Scienza e Letteratura nel 1970. Per quanto riguardava Science-Fiction Studies, mi fu subito chiaro che la personalità più rappresentativa era quella di Suvin, professore di Letterature Comparate presso la McGill Unversity di Montréal e punto di riferimento per altri studiosi allora emergenti, come Fredric Jameson, Peter Fitting e Marc Angenot. Solo in seguito avrei appreso da Darko delle sue vicissitudini, che lo avevano portato da Zagabria a un breve soggiorno in Italia (dove è tornato definitivamente alcuni anni fa) e poi a stabilirsi nel Canada francofono del Québec. Peraltro, Darko viveva a Montréal come un cittadino del mondo.

Non a caso aveva iniziato studiando il teatro di Brecht e aveva poi sviluppato, da poliglotta qual è, una molteplicità di ricerche che superavano l’ambito occidentale ed europeo. Ricordo, ad esempio, il suo interesse per la Cina e per il Giappone, oltre alla sua attività di poeta. In ogni caso, quando nel 1975 Suvin decise di dedicare un numero monografico di Science-Fiction Studies a Philip K. Dick, Suvin fu così generoso dal chiedere la mia collaborazione, che si tradusse in un intervento dal titolo “Dick and Meta-SF”, apprezzato dallo stesso Dick. Nel 1978 Darko e io avremmo partecipato assieme al Convegno Internazionale sulla Fantascienza, organizzato a Palermo da Luigi Russo. Lì Suvin giocò il ruolo indiscusso di primus inter pares in una eletta schiera che comprendeva i già citati collaboratori di Science-Fiction Studies, il romanziere e critico britannico Brian Aldiss, i francesi Baudrillard e Maffesoli, e un autorevole gruppo di studiosi italiani, situati soprattutto nell’area dell’estetica e della semiotica. Un considerevole numero dei contributi palermitani sarebbe stato pubblicato nel 1980 a cura di Luigi Russo ne La fantascienza e la critica (Feltrinelli). Il primo saggio della raccolta, firmato da Suvin, è intitolato “La fantascienza e il novum: la sua traduzione mi fu affidata da Darko, molto scrupoloso nell’opera di revisione che gli consentiva la conoscenza della nostra lingua. Alla fine degli anni ’70, dunque, si sono rafforzate la nostra amicizia e la nostra collaborazione, mai interrotte fino ad oggi, quando in due contiamo, credo, la bellezza di 160 anni.

Astronauci powiesc fantastyczno-naukowa,  Stanisław Lem; Warszawa, Czytelnik, 1957 – Fondo Darko Suvin

Tra le occasioni più vicine di incontro annovero la venuta di Darko a Milano per concordare con il compianto Rettore Enrico Decleva il passaggio della sua Biblioteca presso il Centro Apice della Statale. In più di quarant’anni la fantascienza ha ottenuto considerevoli riconoscimenti sul piano critico, ha mutato pelle più volte, ha avuto un impatto enorme sulla cultura di massa, e in particolare a livello cinematografico e televisivo. Ma tutto è partito dal prof. Darko Suvin e dalla definitiva ‘consacrazione’ di un genere marginale che si trova ne Le metamorfosi della fantascienza, pubblicato da Il Mulino nel 1985, con la traduzione di Lia Guerra, sei anni dopo l’uscita dell’edizione originale in lingua inglese presso la prestigiosa Yale University Press. Curiosamente, tra le ‘contestazioni’ mosse all’amplissimo impianto storico-teorico sviluppato da Suvin – che faceva partire il genere SF dalla letteratura di viaggi immaginari e dall’utopia classica – vi fu anche l’Introduzione all’edizione italiana, in cui Oreste Del Buono rilanciava l’idea della fantascienza come narrativa popolare creata da Hugo Gernsback negli anni ’20 del Novecento. Oggi, a distanza di tanti anni, possiamo affermare che entrambe le impostazioni hanno una loro sicura validità, pur partendo da presupposti assai diversi. Un’obiezione forse più seria puntava il dito contro l’impianto sostanzialmente marxista della critica suviniana, che tuttavia era accompagnata da una profonda conoscenza dei testi affrontati e si serviva in modo innovativo di alcuni efficaci paradigmi intellettuali (lo ‘straniamento’ brechtiano, il principio della speranza di Bloch).

A una visione marxista del mondo, sia pure rielaborata dalla sua geniale personalità, Suvin sarebbe stato sempre sensibile, tanto da servirsene in alcuni scritti successivi che affrontano le grandi problematiche della contemporaneità. Vorrei ricordare il suo recente contributo, credo ancora inedito, sull’attuale pandemia: “Anti-Utopia in Coronisation Times: Capitalocene and Death”, in cui questo autentico cittadino del mondo punta il dito sui guasti prodotti dalla globalizzazione capitalista ed esprime la speranza – malgrado tutto – che dal basso si sprigionino le forze della ribellione, capaci di sconfiggere non solo il virus, ma anche i potentati economici che hanno favorito la sua diffusione e che stanno sacrificando la vita di tanti esseri umani.

 

Carlo Pagetti
Università degli Studi di Milano