25 marzo 2023

Aldo Carpi nella Milano del dopoguerra

Aldo Carpi, disegno di Gusen

La prima stagione artistica del dopoguerra milanese fu tracciata dalla drammatica testimonianza di Aldo Carpi. Sopravvissuto alla deportazione e al campo di concentramento, liberato dall’esercito polacco, il pittore rientrò in città nel luglio 1945. In prima pagina del “Corriere d’Informazione” del 2 gennaio 1946 campeggiava, a sua firma, una lunga descrizione delle esperienze vissute nel campo di prigionia.

Solo qualche mese prima del suo ritorno in città era stato affisso, fuori Brera, un manifesto che invocava la sua nomina alla direzione dell’Accademia di Brera. “W Carpi” era firmato da un nucleo di studenti di Brera, da artisti e da critici. Tra i firmatari vi erano i nomi di Peverelli, Cassinari, Morlotti, Dova, Ajmone, Crippa, De Amicis, Del Bon, De Rocchi, Soldati, Alik Cavaliere, De Micheli, Guido Ballo. Infatti il mese successivo al rientro in città fu plebiscitariamente chiamato a dirigere l’Accademia di Brera, lì dovette affrontare le difficoltà economiche che attanagliavano il glorioso istituto e ricucire la rete di relazioni con la società civile, perché l’Accademia riprendesse il ruolo che le competeva in città. Con una sensibilità tutta personale fondò nel 1947 l’associazione “Laus Mariae Braidensis” con un programma di aiuto all’Accademia e agli studenti più indigenti.

Simbolo della partecipazione umana e civile degli artisti agli orrori della guerra, la sua figura si prestava a esprimere quel senso di urgenza e coinvolgimento personale tanto sentito in quella congiuntura storica. Che il suo nome fosse apprezzato tra i giovani artisti è dato saperlo non solo dal già citato manifesto, ma anche dalla corrispondenza e dalle testimonianze private e pubbliche. In occasione della personale, organizzata nel gennaio del 1946 presso gli spazi del gallerista Guglielmi in corso Vittorio Emanuele 22, Ennio Morlotti, che era stato studente di Carpi a Brera, scrisse una intensa pagina in cui dominava un atteggiamento di affettuoso e commosso omaggio al maestro di “libertà e moralità”. Le parole di Morlotti, pubblicate sulla rivista “Argine-Numero” (II, 1, gennaio-febbraio 1946), ribadivano l’itinerario biografico e artistico di Carpi, attribuendogli un ruolo decisivo nel determinare la maturazione di importanti scelte esistenziali: “la nostra generazione in tutti i modi soffocata e avvilita, amputata, sparpagliata, sminuita dagli avvenimenti, ebbe pochissime cose a cui attaccarsi per sopravvivere […] per un gruppetto di pittori qui a Milano c’è stato però un’altra cosa, c’è stato un maestro”.

Di questa devozione per un artista che ebbe una funzione di cerniera tra diverse stagioni artistiche e diverse generazioni, il cui prestigio, acquisito durante gli anni del fascismo e della guerra, si sarebbe mantenuto intatto sino alla sua scomparsa, sono testimonianza i necrologi per la morte avvenuta il 27 marzo del 1973. Non sorprende che Mario De Micheli nell’articolo pubblicato per “l’Unità” ricalchi persino nel titolo le espressioni usate da Morlotti nel 1946, restituendo in una trama cronologica il percorso creativo e professionale.

Alla ricostruzione di questa vicenda esemplare della cultura italiana e milanese, vengono in soccorso i molti materiali cartacei conservati presso il Fondo Aldo Carpi e Maria Arpesani del Centro APICE; dalla rassegna stampa alle carte riferite alla deportazione e all’antifascismo a cui si accompagnano le corrispondenze, gli scritti autobiografici e la documentazione relativa all’attività presso l’Istituto braidense. Si tratta di un fondo estremamente ricco che costituisce una fonte unica e fondamentale per restituire l’importanza della memoria di Aldo Carpi, di cui oggi si celebra il cinquantesimo anniversario della sua scomparsa.

 

Paolo Rusconi
Centro Apice

Università degli Studi di Milano