18 febbraio 2021

Riflessioni sulla fotografia nella vita e nell’arte di mio padre, John Alcorn (1935-1992)

John Alcorn in una delle foto recentemente digitalizzate

Il 27 di gennaio ricorse il ventinovesimo anniversario della morte prematura di mio padre; il 10 di febbraio avrebbe compiuto 86 anni. Guardando al passato, noto che la morte di mio padre, paradossalmente, è coincisa con una nascita, cioè con gli inizi della rivoluzione digitale (‘digitale’ è una specie di denominazione impropria, considerando il ruolo ridotto che le dita possono svolgere nel processo creativo diffuso da questa rivoluzione). Che sia migliore o peggiore non si sa, comunque oggi viviamo in un mondo che mio padre non avrebbe più riconosciuto. Il suo approccio era fondamentalmente artigianale, basato su una coordinazione occhio-mente-mano molto sottile. La passione sfrenata per le cose fatte a mano garantiva che in pratica ogni aspetto della sua arte – persino quelli meno illustrativi e più tecnici dell’opera, per esempio la messa a punto della tipografia meccanica e le discipline a questa connesse – emanasse un calore estraneo alle sensibilità dominate dalla tecnologia dei nostri giorni. Rabbrividisco al pensiero di cosa avrebbe pensato mio padre di un mouse, e ancor di più di una tavoletta grafica.

Da artista usava tutti i sensi: la sua propensione a lavorare a contatto con la natura, il suo amore per i materiali e il suo apprezzamento per le caratteristiche tattili garantivano che non ci fosse una separazione meccanica tra l’opera in sé e la mente e le mani che l’avevano creata. Da fotografo si era costruito la camera oscura, preferendo sviluppare da sé le pellicole e occupandosi dell’esecuzione di ogni prova fotografica. Da disegnatore grafico era personalmente responsabile del settaggio manuale di ogni singola forma di lettera, assicurando così la crenatura e l’allineamento ottimali. Se un lavoro grafico richiedeva un elemento decorativo, lo ideava a partire da uno schizzo a matita. L’idea stessa di usare la clip art sarebbe stata per lui un’eresia – così come far conto indebitamente su materiale fotografico d’archivio. Nessun aspetto dell’arte era troppo insignificante o troppo periferico per la sua attenzione sollecita e costante. In ultima analisi, è il contrasto fra l’etica artigianale di mio padre e l’etica a indirizzo tecnologico odierna a rendere paradossalmente la sua opera così importante per la nostra epoca, e la sua riscoperta così opportuna.

Questo vale anche per la sua attività nel campi della fotografia –un aspetto della sua creatività rimasta per lo più inedita, anche se ha giocato un ruolo determinante nel suo modo di vedere e di documentare il mondo che lo circondava. Considerava la fotografia un mezzo di comunicazione miracoloso – miracoloso perché capace, attraverso una piccola scatola nera a prova di luce, di esprimere i sentimenti umani più profondi e naturali: l’amore per la propria famiglia, la meraviglia dei luoghi nuovi, il ricordo di avvenimenti gioiosi. È stato detto che la fotografia ci offre la possibilità di non morire del tutto. Le sue fotografie dimostrano quanto questo sia vero. Attraverso le sue fotografie, possiamo rivivere le sue reazioni alle esperienze di vita che più l’avevano colpito.

L’ampia collezione di fotografie attualmente conservata nell’Archivio Alcorn presso l’Università degli Studi di Milano rivela quanto sia stato ricco, sotto il profilo umano, il suo rapporto con il medium della fotografia. Questo amore è reso ancora più profondo dal fatto che germogliò dall’esempio edificante di suo padre, Herbert Melville Alcorn. Suo padre lavorò tutta la vita come statistico per la compagnia di assicurazioni New York Life. Era un democratico dell’epoca rooseveltiana, che aveva fiducia in se stesso ma era anche compassionevole, lettore vorace, falegname di talento, fotografo esperto, ceramista e appassionato di disegno tecnico – passione con cui contagiò suo figlio in tenera età. La sua passione per la fotografia lo spinse a costruire, quando mio padre era ancora ragazzo, una camera oscura nella cantina della loro abitazione. Fu qui che mio padre imparò l’arte della stampa fotografica. E fu qui che provò per la prima volta l’incanto di vedere emergere un’immagine latente tramite un processo di immersione chimica in una soluzione riducente; fu qui dove scoprì, metaforicamente parlando, il proverbiale “cielo in una stanza”.

La collezione ha un valore sentimentale inestimabile, in quanto offre una documentazione esauriente della sua vita di famiglia (a partire dagli inizi degli anni Sessanta, fino agli inizi degli anni Novanta). Inoltre, la collezione comprende un’ampia serie di fotografie realizzate in occasione della sua scoperta delle sue radici piemontesi verso la fine degli anni ’60. Questa serie raffigurante i parenti di mio padre ci offre il ritratto di una comunità in fase di transizione – da un’esistenza essenzialmente agraria, quasi medievale, fuori dal tempo, ad un’esistenza sempre più industriale. All’epoca, non era insolito per i miei parenti lavorare nei campi di giorno e in fabbrica di notte. Da allora le attività di lavoro giornaliere sono diventate più omogenee, e quindi questa dicotomia non esiste più – il che rende ancora più significativo l’importanza di questa documentazione, in quanto narra, attraverso un’intuitiva elaborazione estetica e una capacità di infondere nello spettatore una vivida sensazione di contatto con i suoi soggetti, il tramonto di un modo di vivere essenzialmente agrario, e la nascita di una qualità di vita sempre più in sintonia con le evoluzioni socio-economiche determinanti che avrebbero trasformato nel giro di pochi anni questa regione.

L’amore di mio padre per la fotografia, oltre a essere trasmesso a mio fratello Thomas (Thomas Alcorn – Fotografie, Rizzoli, 1976), fu trasmesso alla nostra primogenita, Lucrezia (nata a Firenze e attualmente residente a New York, dove svolge l’attività di fotografa). La dedizione della famiglia Alcorn all’immagine fotografica abbraccia ben quattro generazioni. L’istinto di mio padre di condividere e tramandare la sua padronanza dei processi creativi da lui impiegati e sviluppati, sia emblematica non solo della sua generosità di spirito, ma anche del suo profondo umanesimo.

 

Stephen Alcorn
Virginia Commonwealth University

 

 

Stephen Alcorn è professore ordinario presso The School of The Arts della Virginia Commonwealth University, Richmond, VA. Una veduta panoramica della sua attività di incisore, illustratore, grafico, pittore e musicista è visibile presso il sito www.alcorngallery.com