31 gennaio 2022

Le digital humanities per la valorizzazione del patrimonio archivistico e bibliografico

Foto Shahadat Rahman su Unsplash.com

Anche la seconda edizione del master in Digital humanities dell’Università degli studi di Milano ha visto il coinvolgimento del Centro Apice; tre studenti hanno, infatti, incentrato il proprio tirocinio, parte integrante e fondamentale del percorso formativo del master, sulla valorizzazione di due fondi di Apice, l’archivio fotografico del quotidiano “La notte” e la rivista “XXème siècle”. I progetti, descritti più in dettaglio da parte degli studenti stessi, hanno un filo comune rintracciabile nella valorizzazione del patrimonio archivistico e bibliografico di Apice grazie a operazioni di archiviazione e descrizione, digitalizzazione, conservazione.

Ci soffermeremo su alcuni aspetti legati a questi tre momenti del valorizzare.

L’archiviazione dei documenti risponde all’esigenza di reperibilità; occorre disporre il materiale documentario in modo ordinato e coerente perché sia ricercabile da parte degli studiosi. A tale scopo ogni oggetto va descritto; questa indispensabile operazione, la catalogazione, non è mai automatica né demandabile, almeno sino ad ora, a processi gestiti da elaboratori. Si tratta, infatti, di un’attività intellettuale che richiede, oltre a una solida padronanza degli standard in uso, specifici per ciascun settore, conoscenze teoriche in vari campi del sapere, dalla paleografia all’araldica, una dimestichezza con le lingue (antiche e moderne) e una sufficiente cultura di base per interpretare i dati e assegnare stringhe di soggetto e classi che possano soddisfare le ricerche più mirate. Descrivere in modo corretto significa garantire non soltanto la reperibilità del documento o dell’oggetto artistico, ma testimoniarne l’esistenza stessa, come l’epoca del web ci insegna; si tende a dire, infatti, che quanto non viene trovato in rete non esiste e questo vale anche nel caso dei beni archivistici e bibliografici che, se non registrati negli strumenti specifici di ricerca online, sono ‘invisibili’ ai potenziali fruitori. Ancora oggi, purtroppo, i dati di troppe schede catalografiche non sono ancora confluiti nei cataloghi online (qua una riflessione sulle conseguenze del mancato recupero retrospettivo dei cataloghi cartacei in ambito bibliotecario) rimanendo, quindi, nascosti agli studiosi.

L’operazione di digitalizzazione, se condotta seriamente, si struttura in varie fasi; si comincia con il selezionare l’oggetto e controllare che esso sia stato descritto e/o inventariato. A seguire, se si tratta di materiale documentario delicato e unico, viene effettuata una valutazione da parte di professionisti degli eventuali danni derivanti dall’uso di apparecchiature, quali scanner e fotocamere digitali; superata questa analisi, si procede alla digitalizzazione vera e propria secondo requisiti di qualità (ad esempio, usando lo standard aperto International image interoperability framework – IIIF che consente l’interoperabilità e la condivisione delle immagini e dei loro metadati). È assai riduttivo, dunque, intendere la digitalizzazione come un semplice trasferimento online di dati testuali o grafici; oltre alla copia digitale, gli utenti si aspettano, infatti, la trascrizione del testo o la descrizione analitica dell’immagine, la possibilità di navigare tra oggetti simili e di ‘perdersi’ in percorsi inattesi guidati dalla serendipità.

L’ultimo passo necessario per la promozione del patrimonio di archivi e biblioteche è rappresentato dalla conservazione. In una interessante riflessione Melania Zanetti ricorda che “la conservazione non può coincidere con la sottrazione del patrimonio alla fruizione, con il metterlo in sicurezza chiudendolo in un magazzino, in un armadio, in una custodia e limitarne l’accesso fino a scoraggiarlo”. In altre parole, la conservazione del patrimonio documentario, che rappresenta una parte della tutela di quest’ultimo, deve essere – e così la intende il Codice dei beni culturali e del paesaggio – “un’operazione dinamica” da attuare attraverso lo studio, la prevenzione, la manutenzione e il restauro.

La valorizzazione non deve mai essere intesa come contrapposta alla tutela, “al contrario, l’indicazione che promana dal testo legislativo lega tra loro le due attività affinché esse svolgano un’azione sinergica, capace di incrementare la generale attenzione sul patrimonio culturale”.

Solo lavorando nelle tre direzioni delineate (archiviazione/descrizione, digitalizzazione e conservazione) è possibile assicurare al patrimonio documentario la ricercabilità, la visibilità e la conservazione sia nella realtà analogica sia nel mondo del web. Le attività di tirocinio del master in Digital humanities svolte presso Apice dimostrano la validità di questa ‘strategia’.

 

 

Simona Turbanti
Università degli studi di Milano